[Metodo] Volontariato

Le caratteristiche del volontariato oggi

Negli ultimi anni il fenomeno del volontariato è esploso in tutte le sue manifestazioni. Oggi il volontariato presenta alcune caratteristiche che inducono a riflettere. In primo luogo si può dire che risponde ad un’esigenza di “dare”, ma l’attenzione sembra essere rivolta più al soggetto che dà (colui che si propone come volontario) piuttosto che al soggetto che riceve (l’anziano, l’ammalato, il disabile ecc.).

Spesso ci troviamo di fronte a persone che vogliono, a tutti i costi, occupare il proprio tempo libero basandosi su motivazioni leggere o senza disporre di un’adeguata preparazione. Inoltre, anche se non lo si può affermare in generale, oggi il volontariato presenta le caratteristiche del “mordi e fuggi”, nel senso che chi lo pratica è incostante, instabile nel suo impegno, oggi c’è domani chissà.

Il volontariato come vocazione

La proposta dell’Associazione AMI è quella di lasciare alle spalle un volontariato abbandonato all’improvvisazione per dare spazio alla formazione e soprattutto per accertare che l’attività di ciascuno come volontario (attività posta in essere nelle sue molteplici forme) sia la risposta ad una esigenza vocazionale autentica.

Per molte persone il volontariato può essere vissuto come la “seconda vocazione”, accanto a quella di marito o di moglie, di genitore, di medico, di infermiere, di sacerdote o quant’altro.

Al diminuire dell’impegno per la costruzione di una nuova famiglia, o per l’educazione dei figli che, diventati adulti escono di casa, al ridursi delle tensioni per il lavoro e la carriera (con l’entrata nell’età del pensionamento) può accadere di ritrovare del tempo libero da impiegare in modo produttivo per fini di solidarietà.

In questo modo il volontariato diventa un’occasione di verifica, un’occasione per dare una svolta alla propria esistenza, chiedendosi, per la seconda volta “Signore, a questo punto della mia vita, che cosa vuoi da me, che cosa vuoi che io faccia?”.

La nostra esperienza a servizio di fratelli bisognosi diventa un’occasione per arricchirsi spiritualmente, per spendere bene le proprie energie, per riempire meglio la propria vita relazionale, per rendere un servizio alla collettività nelle persone che soffrono di più o stanno attraversando una fase delicata della vita. Ma è anche un modo per soddisfare ed esprimere, con gesti concreti, quel bisogno di solidarietà e di reciprocità che dà completezza al nostro essere. Ricordiamo che cosa dice S. Giacomo: “La fede, se non ha le opere, è morta in sé stessa… Io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”, o le parole di S. Francesco d’Assisi: “Beato l’uomo che aiuta il prossimo nella sua fragilità, con quanto, in casi simili, egli stesso vorrebbe essere da lui aiutato”.

Un volontariato spirituale improntato all’ascolto

L’aggettivo spirituale spesso, nel linguaggio comune, viene usato con significati vaghi, non chiari. Spirituale equivale a qualcosa di molto astratto, di scarsa utilità per la vita pratica attiva; equivale a qualcosa di opzionale all’esistenza dell’uomo, di importanza secondaria; ancora, spirituale ha a che fare col porre in atto gesti legati alla pratica religiosa. A ben riflettere, tutto questo non è esatto. “Spirituale” indica una delle dimensioni dell’uomo, diversa da quella fisica, psicologica, economica o sociale. E’ una realtà viva ma intangibile, che perciò si differenzia da tutte le realtà materiali. E’ una dimensione che concerne l’animo umano e come tale rimane nascosta nel profondo, non è visibile. D’altro canto lo “spirito” è l’energia pesante che anima ogni individuo in tutti i suoi comportamenti dando spazio all’interiorità e alla riflessione. Ne consegue che la spiritualità può essere vista come un elemento che consente all’uomo di migliorarsi, di irrobustirsi interiormente ed elevarsi sopra la pesantezza del male che attanaglia il corpo fisico. Dallo spirito è possibile attingere le energie necessarie per affrontare i momenti difficili.

Così il volontario AMI deve avere ben presente la dimensione spirituale dell’anziano, malato o morente a cui si accosta, in modo da dare ampio spazio alla dimensione spirituale dell’uomo (e dunque alla riflessione e all’ascolto), ma anche per tranquillizzare il malato o anziano che, avendo spesso alle spalle un lungo e travagliato vissuto, è bisognoso di approdare ad una pace interiore e di non sentirsi più solo.

Il malato o anziano ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a dare un senso alla propria vita in quel momento. Possiamo cercare di realizzare tutto questo solo se facciamo sì che malattia e vecchiaia diventino il tempo privilegiato per l’ascolto. Ne consegue che la spiritualità può essere vista come un elemento che consente all’uomo di migliorarsi, di irrobustirsi interiormente ed elevarsi sopra la pesantezza del male che attanaglia il corpo fisico. Dallo spirito è possibile attingere le energie necessarie per affrontare i momenti difficili.

L’icona della cella ispiratrice di un certo tipo di approccio al malato

La realtà che ci circonda ci bombarda di rumori e di immagini. “Quel che non appare non esiste”, potrebbe essere lo slogan che sintetizza la logica dominante. Se questo è un fenomeno criticabile, bisogna anche riconoscere che il suono evoca, mentre l’immagine cattura l’attenzione, aiuta l’intuizione, semplifica la comprensione.

Così anche l’AMI fa propria e propone l’icona di una cella monasteriale che ci riporta all’idea di luogo particolare, privilegiato, per stabilire un contatto con Dio. Esiste una similitudine tra una cella ed un corpo malato o anziano. Entrambi sono un luogo dove si sperimenta la solitudine, quella solitudine che induce a riflettere e dà profondità. La sofferenza, la malattia, la vecchiaia isolano, divengono – per chi le sperimenta – come una cella.

Ciò che avviene all’interno di una cella e di un corpo è un mistero. Tuttavia sussiste una differenza. Di regola prima di entrare ed avere una propria cella il giovane (o il religioso) devono prepararsi gradualmente attraverso una fase di noviziato. Nella vita concreta, invece, prevale il disorientamento e nella maggior parte dei casi si arriva impreparati all’esperienza della malattia, della vecchiaia e della morte.

Risulta allora evidente l’importanza che esista un’Associazione che aiuti, chi lo desidera, a percorrere un ben preciso cammino di formazione interiore per acquisire una preparazione adeguata, rendere sempre più consapevole il volontario nel suo servizio, offrendogli altresì i mezzi perché si rafforzi e si “ricarichi” per fronteggiare il peso di un servizio tanto impegnativo.

Per realizzare tutto questo l’AMI propone i corsi di formazione, i momenti di dialogo, gli incontri di preghiera (al centro c’è l’Adorazione Eucaristica), i ritiri nella villa sul lago d’Orta come piccolo eremo in cui, grazie all’ambiente che viene ricreato, è possibile rifugiarsi e ritirarsi per riacquistare proprio quella condizione di isolamento che vivono alcuni nostri fratelli “imprigionati” dalla malattia, dalla solitudine, dalla miseria.

Ricco di queste esperienze il volontario può aiutare sé stesso e il malato a ritrovare Dio, l’unico che può offrire un senso alla vita in genere e alla vita malata in specie. E’ dunque il bisognoso (il malato, l’anziano o il morente) il luogo privilegiato per celebrare la presenza di Dio e la solidarietà umana.